sabato 8 giugno 2019

IL DESERTO (del suo attraversamento)




di giandiego
Ne parlo spesso ultimamente, il richiamo all’attraversamento biblico (quasi certamente mai avvenuto per altro) è evidente.
Il mio deserto però non è solamente quello della mera partecipazione pseudo-politica, una definizione così limitata non mi apparterebbee soprattutto non descriverebbe … esso è conseguenza e non motore, in realtà la partecipazione avviene, per ragioni sbagliate, superficiali, spesso vuote, a mio umilissimo ed inutile parere, ma avviene.
220/250.000 ad un concerto (per altro di consumo), più annessi e teledipendenti non possono essere ignorati. Le file infinite con campeggio agli outlet o davanti ai grandi rivenditori di tecnologia, nemmeno. Il popolo del tifo calcistico o quello dell’adorazione iconografica del guru infallibile (ultimamente defilato e malamente sostituito da Capo Politico) di M5S ancora meno.
I francesi e gli Italiani sulle strade del Tour o del Giro … sono lì a dimostrare che la gente c’è ed esce dalle sue case, partecipa, se opportunamente imbeccata, con le parole giuste ed il linguaggio del marketing (persino quando corre il rischio di sentire riferimenti alla politica).
Salvo poi essere quegli stessi che lincerebbero un nero solo per il colore della pelle e sulla base di un equivoco e che omettono di difendere i propri diritti calpestati se non sbraitando frasi fatte e luoghi comuni (assolutamente inoffensivi per il potere).
Un poco come i popoli che riempivano le piazze dei tiranni 900centeschi o quelli moderni che cacciano gli stranieri, naturalizzati e nel pieno diritto, dalle case popolari a Tor Bella Monica fra richiami nefandi e saluti romani. Ci sono quindi anche se per ragioni terribilmente stupide.
Il mio deserto è molto più sottile, terribile e persistente ed è legato alla coscienza, ai valori, alle scelte di vita. Della visione del futuro e del presente, delle speranze che si covano in petto e che a volte si condividono con altri in cerchio … o anche solo passeggiando per le strade di una città.
Il mio deserto è quello del sentire comune, che ignora il Congo ed il dramma eterno dell’Africa provocato dalla nostra arroganza e dalla volontà, genericamente occidentale, bianca e primo-mondista di permanere nei propri sprechi e nella propria ostentazione di benessere formale. Quell'ignavia che nemmeno sa dove sia lo Yemen e chi lo stia martirizzando e perchè. Che ignora la Palestina e la Siria, non conosce la Nigeria e l'Amazzonia
Il mio deserto è quello di quel che si dice e si fa, quasi senza sapere, inconsapevolmente bevendo un caffè in una mattinata qualsiasi … o in Lunedì ipotetico di una qualsivoglia settimana dell’anno. È fatto di discorsi e luoghi comuni, di frasi fatte ripetute all’infinito … di commenti calcistici demenziali. È il deserto della propaganda sistemica, delle teorizzazioni di Goebbels, che con la sua ombra nefanda aleggia sulla modernità.
Il deserto ch’io temo è spirituale, costruito sulle convinzioni dogmatiche di religioni preconfezionate inventate e volute dagli stessi che inventarono la Guerra. Il senso è ovviamente metaforico non sono un imbecille che pensa ad un uomo che l’abbia davvero inventata.
Guardandomi attorno mi vedo, troppo spesso solo, e la condivisione eventuale e, sempre più spesso parolaia e formale … vuota ed occasionale, legata al momento, anzi addirittura all’incontro accidentale, virtuale o meno. Un tempo le si chiamava parole di circostanza … chissà come le definisce oggi la modernità. Forse Social?
Attraversare il deserto, nella metafora biblica, il popolo d’Israele non lo fa da solo, individualmente, ma in gregge (certo l’idea razziale di superiorità e legame univoco al divino è sempre presente, ma non ci avrebbero scritto un libro altrimenti)
Oggi non ci è dato nemmeno quello, perchè sin troppo spesso le condivisioni di percorso sono persino più formali delle parole di circostanza che prima citavo.
La realtà oggettiva, cui si richiamava spesso Stalin per giustificare sé stesso, impone questo viaggio, ma l’aridità dell’intorno è tutta nostra, personale ed interiore.
L’assenza di oasi o di gioia … o più semplicemente di una condivisone compassionevole, così come la mancata nascita e crescita di comportamenti altri e diversi da quelli del sistema … dipendono da noi e siamo sempre noi a negarceli.
Noi a svuotare del senso spirituale ed ideale i nostri convitti, noi ad affidarci al pragmatismo dogmatico e sterile nelle nostre polemiche … Noi ad ignorare i contenuti , il senso, l’essenza e lo spirito nelle scelte che operiamo e melle strade che intraprendiamo. Noi che non parliamo mai di noi, ma sempre d’altro d’esterno, economicista, formale e strutturato … lontano dal senso del nostro camminare sulla sabbia.


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